Di Philipp Meyer "Ruggine americana" Einaudi
traduzione di Cristiana Mennella
Ruggine delle fabbriche smantellate,
ruggine delle speranze disfatte, del futuro mancato,
ruggine degli animi senza prospettive, di cuori senza amore,
di vite abbandonate a se stesse, di sogni interrotti..
ruggine del sogno americano disilluso.
La ruggine del libro è quella che la crisi economica “alimenta” nelle grandi fabbriche dell’acciaio nella provincia americana ( Pensylvania) e che provoca disoccupazione e tutto quel ne consegue per le popolazioni che ne restano coinvolte; all’interno di questa cornice si inseriscono le vicende private dei protagonisti, tutte con livelli alti di drammaticità causata sia dalle situazioni sociali che da quelle personali.
L’autore, al suo romanzo d’esordio, ci descrive il disfacimento di una comunità che dalla prosperità economica passa alla disperazione della povertà e a quello che a livello psicologico ne deriva e lo fa attraversando la vita dei personaggi al cui interno innesta un evento criminoso che esaspererà il già difficile svolgersi delle storie personali.
Il libro è scandito in capitoli intitolati ai singoli personaggi e garantisce così una approfondita analisi psicologica degli stessi senza perdere lo sguardo d’insieme del mondo in cui si muovono e con il quale interagiscono e dal quale sono naturalmente influenzati in un gioco di specchi che si rinfrangono l’un l’altro.
Lo stile è asciutto ed intenso, monologhi interiori sottolineano l’introspezione dei personaggi, abitati da tensioni morali nella ricerca dell’individuazione della linea di demarcazione tra il bene ed il male, che spesso risulterà spostata, rispetto ai normali canoni ,da un senso di giustizia “naturale” più che legale.
Si ritrovano all’interno della narrazione tematiche tipicamente americane, quali una importante presenza della natura a volte ostile a volte unica consolazione per gli animi alla ricerca di una qualche felicità, che, per quanto promessa da tante mistificazioni della realtà, è negata poi dallo svolgersi pratico degli eventi. Una natura che senza fretta, padrona del tempo, comincia a ricoprire le macerie delle fabbriche dismesse riprendendosi il proprio spazio. Ed è al suo interno che si sviluppa un altro mito dell’immaginario americano, quello della fuga, dello spostamento verso luoghi altri, quello della libertà da realizzare superando, di volta in volta, frontiere fisiche e/o mentali. Fuga che intraprende uno dei personaggi principali e che corre parallela ed in contrasto con la fissità dell’altro protagonista principale, prima voluta e poi imposta dalla struttura, la più coercitiva possibile, del carcere dove finisce.
In mezzo a tutta questa ruggine che corrode cose e vite, ciò che si salverà saranno i valori della lealtà, dell’amicizia, di un senso di giustizia umana che va al di là delle convenzioni e che non sempre può fare a patti con le regole stabilite dalla società.
E’ un romanzo di ampio respiro, in cui paesaggio e società fanno da sfondo a personaggi ed emozioni, una vena noir lo attraversa e ne intensifica la tensione, l’autore non è mai troppo indulgente né accusatorio, la sua attenzione è posta nella ricerca dell’autenticità dell’essere umano senza edulcorazioni né nette condanne, in quel realismo tipicamente americano essenziale e scevro da fronzoli stilistici e narrativi.
Di Horace McCoy "Sarei dovuto restare a casa" BUR,
traduzione di Teresa Albanese
Un altro libro, completamente diverso da quello precedente ma ad esso collegato per una tematica comune, la decomposizione del sogno americano, è “Sarei dovuto restare a casa” di Horace McCoy
Siamo negli altri trenta del secolo scorso luogo LA, specificatamente Hollywood, personaggi principali un ragazzo ed una ragazza che, come mille altri come loro, hanno dato credito all’illusione
del diventare famosi..come Gary Cooper o chi per lui… illusione alimentata dai rotocalchi che magnificavano la vita degli attori che dal nulla erano arrivati alla celebrità, alla ricchezza…alla felicità….feste fastose, disinibizione, soldi a cascate, sesso facile, e tanta tanta fama….
Ma è la fame che riempe le giornate dei protagonisti e il problema di sbarcare il lunario, di pagare l’affitto ..nell’attesa spasmodica che il telefono squilli con l’opportunità tanto agognata….ed il prezzo che pagano è la dissoluzione morale delle proprie identità fino al suicidio…
Libro profetico e spietato che di quel sogno americano in particolare ne fa carta straccia con lucidità e stringatezza. Forse ci ricorda qualcosa anche se con quasi un secolo di distanza? Interessante postfazione di Giancarlo De Cataldo.