martedì 12 maggio 2020

The Free di Willy Vlautin


Willy Vlautin, ha a cuore la working class americana, ne fa il soggetto dei suoi romanzi, raccontandola in varie sfaccettature attraverso i suoi protagonisti. Della nazione che si descrive come la più ricca e potente del mondo vuole mettere in scena verità spesso sottaciute, far venire a galle le contraddizioni materiali e morali che alimenta al suo interno senza mettersi per nulla in discussione o cercare di risolvere i problemi. La sanità pubblica non garantisce le cure a grossa parte della popolazione che non può pagarsi l'assistenza sanitaria privata; l'esercito, mitizzato per la sua potenza, viene reclutato di porta in porta scegliendo tra le famiglie più povere dove la paga del soldato può fare la differenza, allettando i giovani con false prospettive e poi mandandoli in guerra a morire o tornare feriti nel corpo e nella mente. Eppure è anche gran parte della working classe che ha votato Trump, e lo ha fatto contro i propri interessi, magari solo perché lui è una star televisiva perché è ricco e sperano di diventare come lui. Il tanto famoso sogno americano, che tanta letteratura ha smascherato, che ricorre spesso come sogno mancato se non per pochissime persone, in fondo è ancora vivo e vegeto e continua a mietere vittime.
Vlautin è anche un cantante e musicista nel gruppo Richmond Fontaine, le sue ballate sono tristi, perché è triste la realtà che lui vede intorno a sé e questa stessa tristezza la riporta nei suoi libri raccontando di persone che si trovano incastrate in quella marginalità che lui conosce personalmente, perché è quella l'umanità tra cui si muove, come ha rivelato lui stesso in varie occasioni.
The Free racconta le storie di alcune persone che appartengono a quella umanità.
Leroy, arruolatosi nell'esercito per mantenere un posto di lavoro e con la promessa che la sua partecipazione sarebbe stata marginale e non esposta a pericoli reali, viene invece mandato in Iraq. Tornato a casa ferito e in uno stato mentale alterato e confuso, viene ospitato in una casa famiglia per disabili. Un giorno riacquista la lucidità ed è per lui intollerabile tanto da tentare il suicidio.
Freddie, separato dalla moglie e dalle figlie, oberato da ipoteche contratte per garantire a una di esse cure mediche, presta servizio nella casa famiglia ma è obbligato anche a lavorare in un negozio di vernici il cui proprietario è un uomo indifferente, insignificante e interessato solo alle entrate del negozio al cui andamento non partecipa per niente ma che ascolta quotidianamente alla radio una trasmissione di fondamentalisti cristiani.
Pauline, un'infermiera che lavora nell'ospedale dove Leroy viene ricoverato, vive da sola, si prende cura di un padre fuori di testa che alterna stadi di depressione a stadi di furore ma anche di generosità verso la figlia. Lei vive con un coniglio, rifugge i rapporti di coppia se non saltuari ed esclusivamente fisici; il suo mestiere, che esercita con gentilezza e accortezza, la mette continuamente a contatto con il dolore nei confronti del quale cerca di crearsi una barriera emotiva per non soccomberne.

Nel contesto narrativo, di impronta realistica, viene inserita una parte onirica, in cui Leroy, mentre la madre in ospedale gli legge romanzi di fantascienza di cui è appassionato, entra in una realtà distopica in cui le persone che pensano con la propria testa in modo difforme al pensiero dominante, vengono marchiate, perseguitate e uccise.

In questo contesto di dolore reale, di grande difficoltà, ma non di rassegnazione, ciascuno di loro si prende cura degli altri, le loro vite si intersecano nel contesto di un piccolo, tipico, centro abitativo americano nello stato di Washington, costituito da fast food, motel, bar dove la comunità è sparsa, alienata in un contesto disaggregante, in cui giornalmente si ripetono inesorabilmente le stesse cose, ma dove i personaggi si legano grazie a piccoli e grandi rapporti di solidarietà reciproca, magari fatti solo di una "parola buona" di comprensione, solidarietà, attenzione.

In fondo la distopia evocata dagli incubi surreali di Leroy è già in atto nel presente in una società strutturata in modo tale che la maggior parte delle persone vivano nel disagio e forse è da lui immaginata a imitazione di quello che era già successo nel periodo nazi fascista dove una stella gialla individuava chi era soggetto a eliminazione mentre in America era stato sempre il colore della pelle a rappresentare il marchio naturale identificativo della discriminazione.

Il libro ha il ritmo narrativo della quotidianità, inframmezzato dalle visioni di Leroy, l'innesto delle quali forse appesantisce un po' la fluidità della trama, ma arricchisce la tematica di ulteriori riflessioni. Si respira dalla lettura una partecipazione sincera alle sofferenze dei protagonisti e di tutti coloro che, per vivere, devono lottare tutti i giorni per superare gli ostacoli a loro posti da un sistema sociale che, nel caso migliore, li ignora. Vlautin ribalta la figura propagandistica dell'eroe americano  e incentra il focus su coloro che raramente hanno la parola, sul loro coraggio di vivere e di condividere, sulla loro semplice gentilezza e comprensione verso l'altro; ma anche sul coraggio della decisione di non vivere per forza accanto a ricordi di orrori a cui ha dovuto partecipare, interrompendo una vita menomata nel corpo e nella mente.
Da notare quella che in questo periodo di emergenza sanitaria sembra una coincidenza profetica: il libro ha una dedica in cui viene messo in risalto il valore degli infermieri.
Non si può non pensare a Steinbeck ritrovando in Vlautin l'intento comunicativo di far emergere le storie dei più diseredati all'interno della trionfante Storia americana. 










lunedì 27 aprile 2020

Margine di fuoco di John Smolens



Ci sono luoghi  sperduti nell'immenso territorio degli Stai Uniti che sono raccontati da quella che viene definita "letteratura della provincia americana", contraltare delle narrazioni ambientate nelle grandi, poche, metropoli di quella nazione. E' in questi luoghi che si trova l'anima più originaria dell'America che è rimasta legata agli albori della sua costruzione, intrisa di sterile nazionalismo, di piccole e grandi forme di razzismo, di individualismo sfrenato e carica di perbenismo risalente ai principi puritani dei Padri Fondatori. L'ingerenza del potere federale è mal vista, la giustizia viene esercitata dagli sceriffi,  eletti direttamente dalla popolazione che amministrano. Questo comporta che, a una conoscenza approfondita della comunità si affianchi, al contempo, una complicità e una connivenza con i potenti di turno,che spesso sono portatori di un conservatorismo accentuato espressione di quel substrato ideologico di cui si parlava sopra. Ma è all'interno di questi territori che vive, anche, un umanità schietta, donne e uomini autentici, in grado di accettare la solitudine come forma di indipendenza individuale ma anche di intrecciare relazioni interpersonali vere al di fuori degli schemi della convenzionalità.
Il fazzoletto di terra di cui ci racconta Smolens è la Upper Peninsula del Michigan, a volte ignorata anche nelle carte,  con circa 300,000 abitanti, considerata da quelli della Lower Peninsula una zona a parte; i suoi abitanti  sono chiamato Yooper, termine, di origine finlandese, come gran parte degli immigrati che colonizzarono quella zona, e sottintende non solo una sorta di isolamento della popolazione ma anche una cordialità reciproca. L'inverno dura nove mesi con nevicate possenti, l'estate si presenta infuocata e afosa. Sicuramente il clima influenza il modo di vivere, le estreme condizioni climatiche mettono a dura prova gli abitanti, creando solitudini e disagi; per lo più si incontrano nei bar e lì la birra e il whisky scorrono facilmente, praticamente tutti i personaggi bevono; c'è anche un canzone tradizionale del luogo il cui titolo è "beer beer beer", e  parla della durezza della vita e dell'uso dell'alcool per sopportarla.

Sinteticamente la trama: Hannah, diciannovenne, si innamora di Martin di 10 anni più vecchio di lei e decidono di restaurare una casa dove poter andare a vivere. Alla ragazza, rimasta incinta un anno prima durante la relazione con Sean Colby  era stato imposto un aborto dal padre di Sean, Frank Colby lo sceriffo della contea, che aveva anche obbligato il figlio ad arruolarsi. Quest'ultimo torna a casa dopo esser stato congedato in anticipo per motivi non chiari,  non  accetta la nuova relazione di Hannah e cerca, in tutti i modi, di ostacolare i progetti della coppia.
Martin arriva da Chicago e scardina la staticità del piccolo paese Whitefish Harbor: non è del luogo, guida una macchina straniera, una Mercedes, non ha la ruvidezza degli uomini del posto, ma è pacato, gentile, e, fuori dalla logica consolidata, decide di comprare una vecchia casa che sarebbe stata  demolita. Nella ristrutturazione dell'abitazione, che metaforicamente rappresenta la ricostruzione della vita di Hannah e Martin, la coppia viene aiutata da Pearly, l'outsider del posto: è un artigiano, uno dei pochi che frequenta spesso la biblioteca e la cui filosofia“se ne aveva una, era che le cose in questo mondo dovrebbero essere a piombo, in pari e a squadro, ma non lo sono quasi mai” Colby dice di lui, connotandolo negativamente " non hai un vero scopo nella vita. Vuoi solo essere.....vuoi solo essere libero e senza impegni". 

In mezzo alla tanta retorica sulla libertà, libertà che nell' accezione "americana" "non pertiene ai rapporti fra le persone nella società ma è attributo e pertinenza esclusiva del singolo e consiste in un'illimitata possibilità di scelta e di movimento individuale...è una libertà solitaria e assoluta, che non conosce quindi nessun limite e nessun criterio di reciprocità"*, l'unica persona che è veramente libera è proprio Pearly che non si lascia limitare dai pregiudizi, dai pettegolezzi, dalla smania di ricchezza e di accumulo di cose, che realizza se stesso senza limitare in alcun modo l'esistenza degli altri, e che, proprio per questo diventa il capro espiatorio della collettività e sopratutto dello sceriffo "In ogni paese c'è bisogno di un Frank Colby, perchè in ogni paese c'è un Pearly Blankenship" . 
.A fine libro Sean dice: "Forse, nella terra degli uomini liberi un raptus di follia omicida può capitare a chiunque"  e forse sintetizza l'assoluta determinazione di esercitare la propria libertà in base solo al proprio punto di vista.

Le figure femminili, la mamma di Sean, la madre di Hannah e Hannah stessa risultano ai margini di questa società così impostata, le prime due, entrambe consumatrici di alccol, sono apatiche o addirittura conniventi. Solo Hannah, che sconta il ricordo del suo aborto, il conseguente senso di colpa che la attanaglia, e l'emarginazione a cui la confina la comunità riuscirà a riscattarsi attraverso la propria volontà e la presenza di Martin al suo fianco. Anche Sean troverà il modo si superare la sua ossessione distruttiva verso la ragazza una volta che si sarà liberato del suo demone: il padre che rappresenta la personificazione di quel coacervo di pregiudizi, ottusità, arroganza e razzismo, substrato che anima gran parte della società, la stessa che rende Martin, Pearly e Hannah degli emarginati.

Il libro inizia con un ritmo lento, i personaggi vengono delineati gradatamente, la narrazione poi si carica di una forte tensione che travolge personaggi e lettori mettendo in evidenza una capacità dell'autore di padroneggiare la tecnica narrativa, fino a chiudersi con la prima soffice, lenta neve autunnale che cade sull'Upper Peninsula e i suoi abitanti. E' un romanzo che ci parla di libertà, che delinea la provincia americana del nord con tutti i condizionamenti che il clima, ma non solo, può creare, ci fa conoscere un ambiente meno famoso nella letteratura di questo genere.

* da Eric Foner "Storia della libertà americana" (Donzelli)


BEER BEER BEER ( traduzione non proprio eccellente! ma rende l'idea)

I WAS BORN A YOOPER WITH BEER IN MY VEINS
Sono nato Yooper con birra nelle mie vene

I DRINK IT EVERY DAY TO TRY TO EASE THE PAIN
bevo ogni giorno per cercare di alleviare il dolore

OF ELEVEN MONTHS OF WINTER AND 30 DAYS OF RAIN
di undici mesi di inverno e di 30 giorni di pioggia

AND IF I DIDN’T HAVE MY BEER I THINK I’D GO INSANE
 e se io non avessi avuto la mia birra credo che sarei impazzito

I DRINK IT WHEN ITS FORTY BELOW, I DRINK IT WHEN IT’S HOT 
bevo quando ci sono  quaranta gradi sotto, bevo quando fa caldo

I DRINK IT WHEN IM HAPPY, I DRINK IT WHEN IM NOT
bevo quando sono felice, bevo quando non lo sono

I DRINK IT IN THE SAUNA, I DRINK IT IN MY TRUCK
bevo quando sono nella sauna, bevo nel mio camion

I DRINK IT OUT AT THE DEER CAMP WHEN I’M CHASING THEM BIG BUCKS
bevo a canna nel Campo del cervo quando inseguo un  sacco di soldi

GIVE THIS BOY A BEER MAN, GIVE THIS BOY A BEER
date a questo ragazzo un uomo della birra, date a questo ragazzo una birra

I LOVE THE STUFF, I CAN’T GET ENOUGH BEER BEER BEER,
amo la roba, non riesco ad avere abbastanza birra birra birra

YOU CAN KEEP YOUR WHISKEY YOU CAN KEEP YOUR WINE
puoi tenere il tuo whiskey, puoi tenere il tuo vino

I’LL TAKE A COLD BEER ANY OLD TIME
io prenderò una birra fredda in qualsiasi momento

BEER BEER BEER BEER BEER BEER
birra birra birra birra birra birra

I LOVE THE STUFF, CAN’T GET ENOUGH BEER BEER BEER
 amo la roba, non riesco ad avere abbastanza birra birra birra

MY DADDY WAS A MINER MY MOTHER WAS THE BOSS
mio padre era un minatore, mia madre era il capo

SHE BEAT HIM ALMOST EVERY NIGHT FOR DRINKING TOO MUCH SAUCE
lei lo picchiava quasi ogni notte perchè beveva troppo

MOTHER WAS AS HARD AS NAILS SHE NEVER SHED A TEAR  mia madre era dura come i chiodi e non ha mai versato una lacrima

WHEN DADDY TOOK AWAY MY MILK AND HANDED ME A BEER
papà ha portato via il mio latte e mi ha dato una birra

I DRINK IT UP IN HOUGHTON AND OVER IN THE S00
bevo birra a Houghton e lungo la S00

DOWN IN ESCANABA I DRINK THAT GOLDEN BREW
a Escanaba  bevo la Brew Golden

I DRINK IT IN NEGAUNEE AND OVER IN MARQUETTE
bevo a Negaunee e anche a Marquette

I WENT TO A BASH IN NEWBERRY I AIN’T GOT OVER YET
sono andato ad una festa a Newberry e non ho ancora finito

GIVE THIS BOY A BEER MAN GIVE THIS BOY A BEER
date a questo ragazzo un uomo della birra, date a questo ragazzo una birra

I LOVE THE STUFF, I CAN’T GET ENOUGH BEER BEER BEER
amo la roba, non riesco ad avere abbastanza birra birra birra

YOU CAN KEEP YOUR WHISKEY, YOU CAN KEEP YOUR WINE
puoi tenere il tuo whiskey, puoi tenere il tuo vino

I’LL TAKE A COLD BEER ANY OLD TIME
prendo una birra fredda in qualsiasi momento

BEER BEER BEER BEER BEER BEER
birra birra birra birra birra

















































sabato 7 marzo 2020

I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead



Colson Whitehead ci regala un altro potente libro per raccontarci un altro pezzo di America e un altro pezzo del razzismo americano. Lo spunto lo prende dal ritrovamento di un cimitero segreto dove venivano sepolti corpi di cui non si voleva render conto, provenienti da quella che una volta era la "scuola" Dozier, in realtà un centro di detenzione per adolescenti, in cui  venivano perpetrati soprusi e violenze fino all'omicidio, e su questa storia vera, dopo essersi documentato in modo approfondito, costruisce un racconto e dei personaggi completamente plausibili.

Florida anni '60, in pieno periodo di segregazione e di lotta per i diritti civili, Elwood, nero, adolescente, coscienzioso, ha il desiderio di andare al College per uscire fuori dal ghetto, luogo così descritto, nel 1962, da James Baldwin* in una lettera al nipote, (che potrebbe benissimo essere Elwood stesso) - "Questo paese innocente ti ha confinato in un ghetto, e in questo ghetto è stabilito che tu marcisca........tu sei nato dove sei nato e hai di fronte il futuro che hai perché sei nero, per questa e nessun altra ragione. Per loro è scontato che i limiti alle tue ambizioni siano definiti una volta e per sempre. Sei nato in una società che con brutale limpidezza, e in tutti i modi possibili, ha messo in chiaro che sei un essere umano senza valore. Non ti si riconosce il diritto di aspirare all'eccellenza: hai diritto soltanto di accontentarti della mediocrità. Da qualunque parte tu sia rivolto, nella tua breve vita su questa terra, ti è stato detto dove potevi andare e cosa potevi fare (e come dovevi farlo) dove potevi vivere e chi dovevi sposare".

Elwood ascolta i discorsi di Martin Luther King e fiducioso nelle sue parole e nei cambiamenti che prospettano, inizia a partecipare alle lotte per diritti civili e attende il momento in cui potrà entrare nel ristorante dove lavora la nonna non come lavorante ma come cliente. La sua bravura a scuola e la sua volontà ferrea di progredire gli forniranno un'opportunità di entrare al college e proprio mentre sta per andarci si trova nella situazione sbagliata al momento sbagliato e il colore della sua pelle lo rende subito colpevole e finisce alla Nickel (leggi Dozier) luogo di sopraffazione, umiliazione e dolore fisico e morale per i ragazzi che lì vengono rinchiusi.
La crudeltà verso i più deboli, gli indifesi non è una prerogativa riservata ai neri, alla Nickel la così detta "Casa Bianca" è il luogo di tortura per tutti, ma è l'unico luogo di condivisione tra neri e bianchi, per il resto vige la segregazione che comprende, anche, una maggiore accanimento contro i ragazzi di colore su cui i sorveglianti, parecchi appartenenti o simpatizzanti per il KKK, sfogano la loro "libidine" razzista.
Elwood conosce e fa amicizia con Turner e si prospettano insieme come due personaggi antitetici e complementari, l'uno ricco di speranze e di idealismo, il secondo cinico e disincantato, immagini speculari di tipici ragazzi che popolano i ghetti afro-americani.
Elwood subisce, come gli altri, le umiliazioni, le violazioni, le degradazioni fisiche e morali infertegli dagli aguzzini di quel luogo, completamente in balia dei casuali picchi di ferocia.
E, in quella situazione, le parole di M.L.King che auspicano di combattere la violenza contro i neri con l'amore verso i bianchi cominciano a non essere più così chiare per lui, così plausibili, così realizzabili, così giuste.

I ragazzi della Nickel una volta fuori non avranno una vita facile segnati per sempre da quel luogo che li ha degradati anche nel loro diventare  futuri uomini, l'esperienza della "scuola"  li seguirà passo dopo passo e spesso finiranno preda dell'alcool, della droga, del crimine, della violenza, della morte.

Whitehead scrive un romanzo brutale, duro, con una scrittura asciutta che rende appieno la drammaticità della situazione; a differenza che ne "La ferrovia sotterranea" non introduce elementi immaginifici ma parla ugualmente di una fuga da una condizione che non riconosce alcuni esseri umani come persone con pieni diritti. La fine del romanzo, poi, ci regala delle invenzioni letterarie che permettono, oltre che una sorta di compensazione e  ricomposizione della vita di Elwood, quella magica capacità della letteratura di stupire il lettore con l'immaginazione narrativa che non edulcora la realtà ma la arricchisce di possibilità, di profondità, la trascende per renderla più plausibile.


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* James Baldwin è un noto intellettuale afro-americano, attivista politico, scrittore di narrativa e di saggi, la frase citata è presa dal libro "La prossima volta il fuoco", Fandango 2020.

mercoledì 29 maggio 2019

E' passato tanto tempo di Andrè Dubus III


"E' passato tanto tempo" è un romanzo complesso, scritto bene e costruito ancora meglio, un intreccio di narrazioni in tempi diversi, in luoghi diversi, che fluiscono l'una nell'altra senza interrompere o fare inciampare la narrazione. Sono tre i personaggi di cui si scandagliano le emozioni, le vite, le solitudini:
Daniel, che ha ucciso la moglie Linda quando lei aveva 24 anni spinto da una gelosia incontrollabile;
Susan la loro figlia, che al momento dell'omicidio aveva tre anni ed era presente;
Lois, madre di Linda, che si prenderà cura di Susan.

Passano circa 40 anni Daniel sconta solo 15 anni in prigione e trascorre il resto della pena  in  libertà vigilata, quando anche questa finisce, ossessionato da quello che ha commesso e dalla inevitabile perdita di contatti con la figlia, resosi conto che non ha molto più da vivere, decide di cercarla e, dopo aver individuato tramite internet dove lavora e vive, le scrive una lettera per poi partire col l'intento di incontrarla.
La narrazione si sviluppa in un andirivieni temporale che riguarda tutti i personaggi, ciascuno con i propri dolori, ossessioni e problematiche irrisolte che derivano da quell'evento delittuoso che ha cambiato per sempre le loro vite. Dubus III ne scandaglia l'animo andando in profondità, lo fa con sincerità e onestà verso i protagonisti e verso il lettore, senza ammantarsi di nessuna capacità di giudizio ma dandoci tutti gli elementi di comprensione, mettendoci direttamente in contatto con gli eventi e le persone che ne sono attori. Se dovessi rendere visivamente il dipanarsi della narrazione direi che i personaggi sono delle ombre che piano piano prendono una forma sempre più definita tanto da essere individuabili, poi, come persone concrete nelle loro problematicità.
Gli assilli che li animano principalmente sono l'anaffettività di Susan nel relazionarsi con gli l'altri, la rabbia vendicativa di Lois, il senso di colpa  di Daniel, sintesi di stati d'animo che accompagnano i personaggi e che si dipanano in molte sfaccettature. Ci sono eventi nella vita che la segnano definitivamente, che sono irreversibili, che non potranno mai essere dimenticate per le conseguenze che hanno determinato, sia per chi li ha subiti che per chi li ha causati, ferite che non saranno mai completamente guarite, ma con cui si può pensare di convivere.
Il perdono, che sia verso se stessi o verso gli altri, rimane un concetto astratto quanto le religioni che lo propongono, solo attraverso la ricomposizione, l'accettazione e la consapevolezza si può fare della propria vita qualcosa di costruttivo e sensato. Questo accade nel romanzo grazie alla presenza  di Bobby marito di Susan, ( in cui si può, a mio parere, intravedere l'autore stesso) personaggio secondario che, forte dell'estraneità ai fatti, dotato di una forza interiore che gli permette di guardare gli altri senza pregiudizi, e senza pretesa di giudizio nei loro confronti, consapevole dell'unicità di ciascuno ( Dubus dice in un intervista:"Non si può pensare di concepire davvero l'altro, perchè ognuno è uno e niente di più" ) guiderà tutti a una risoluzione possibile.

Bobby, musicologo, appassionato di Ornette Coleman  -  sassofonista pluristrumentista jazz-  applica "le regole" del  free jazz, di cui Coleman stesso è considerato il padre, alla vita, seguendo quella che ritiene una massima proprio di Ornette "E' così che ho sempre voluto che i musicisti suonassero con me: su più livelli. Non voglio che mi seguano. Voglio che seguano se stessi, ma per stare con me".

Così Bobby è descritto all'interno del libro: "In qualche modo in ogni sua scelta c'era anche il calore o almeno la traccia del grosso Bobby Dunn che ti stava accanto e sorrideva e che si fidava del fatto che tu lo ricevessi senza doverti soffocare in una sottomissione fatta di banalità vagamente formulate e di note senza fine. Questa era la questione. Bobby si fidava. Si fidava che un'osservazione vera avrebbe portato a un'altra e poi a un'altra ancora senza pensarci troppo, che se qualcosa stava funzionando ora avrebbe continuato a funzionare in seguito e che la vita era una grande improvvisazione confusa dove non si poteva fare a meno di addentrarsi in quello che ancora non si sapeva e che la cosa peggiore che si poteva fare era semplicemente sedersi, cercando di darle una forma troppo compiuta".

La complessità del testo, poi, oltre alle varie voci dei protagonisti, si arricchisce di ulteriori inserimenti narrativi costituiti dal libro che Susan sta scrivendo e dallo sdoppiamento che Denny fa di se stesso in due personaggi collocati uno prima dell'omicidio da lui commesso e uno successivo a esso, rendendo la narrazione ancora più articolata e sfaccettata.

Si può dire che Dubus III, ha scritto un libro che, seppur pecca di qualche lungaggine ampiamente compensata da una forma e da una struttura narrativa di grande maestria,  ci fa riflettere su come il passato possa segnare incisivamente la vita delle persone  e i rapporti affettivi che le legano, e ci suggerisce che l'unico modo  di rimettere a posto i pezzi di quello che è stato rotto, è operare con intento empatico ma senza perdere se stessi. E forse in tutto ciò si può intravedere la ricomposizione che egli stesso ha fatto nella relazione con il padre, lo scrittore Andrè Dubus, con il quale ha avuto un rapporto difficile (il padre abbandonò la famiglia, creando non piccoli problemi di sussistenza e di crescita serena al figlio) ma che è poi riuscito a recuperare: forse, proprio senza smettere di suonare le "sue note" ha imparato a suonarle insieme a lui.








 

domenica 21 aprile 2019

L'estate che sciolse ogni cosa

L'estate che sciolse ogni cosa è il primo libro pubblicato da Tiffany McDaniel, ma non il primo da lei scritto, infatti per molti anni (ha iniziato a scrivere a 18 anni) le case editrici ne hanno rifiutato la pubblicazione come lei stessa dice in una intervista : "Per undici anni i miei scritti sono stati rifiutati dagli editori con la motivazione che li consideravano troppo cupi e comunque troppo rischiosi da pubblicare. L’industria editoriale americana, specialmente nel clima attuale, è molto cambiata focalizzandosi sul commerciale e sul non-fiction. La fiction letteraria, che è ciò che scrivo, è un genere considerato difficile per una carriera da lanciare, dal momento che il pubblico che segue questo genere letterario è sempre più di nicchia, almeno negli Stati Uniti."

Spendo due parole a favore della finzione come caratteristica di quell'opera letteraria che per convenzione chiamiamo romanzo e che ultimamente è più espressione di esperienze personali che di costruzioni narrative. Con l'auto fiction o no fiction novel, senza volerne disconoscerne il valore, si viene a perdere tutto un mondo che l'autore costruisce per comunicare la sua opera a noi lettori, la trama, l'intreccio, i personaggi, le mille possibilità che ha di inserirci situazioni, emozioni, eccezioni, stramberie, magia, etc etc, la capacità di strutturarle per dare loro un senso compiuto o  per non dar loro nessun senso....per spaziare nelle possibilità umane dell'esistenza....spesso si dice "leggo per vivere vite che non potranno mai essere le mie" ma non per vivere la vita dell'autore che diventa personaggio, anzi, "il personaggio"....Sicuramente ci sono fenomeni sociologici che mi sfuggono, ma credo che la nuova comunicazione, tra cui quella dei social, abbia troppo incentivato l'esposizione di se stessi, il racconto di se’ impoverendo la narrativa di elementi tipici della sua forma artistica.

Il libro della Mc Daniel comprende tutte le caratteristiche della narrazione di finzione che,  associate a uno stile a dir poco di notevole valenza estetica, si propone come un libro di rara bellezza.
1984, in un paesino dell'Ohio, Breathed,  Autopsy Bliss, pubblico ministero convinto di poter essere "il setaccio di Dio" per operare la distinzione tra bene e male, invita, in un bizzarro articolo sul giornale locale,  il Diavolo a presentarsi per avere un dialogo con lui e verificare il proprio operato. Colui che arriva, dicendo di essere Lucifero, è Sal, (le prime due lettere Sa stanno per Satana, L per Lucifero) un ragazzino di pelle nera, mal vestito, magrissimo, che incontra Fielding il figlio di Autopsy e da lui viene portato a casa. Insieme a Sal arriva un caldo insolito, un "caldo che non scioglieva solo le cose tangibili, come i cubetti di ghiaccio, il cioccolato, i gelati. Ma anche l'intangibile. La paura, la fede, l'ira, e ogni collaudato modello di buon senso. Scioglieva l'esistenza della gente, gettandone il futuro in cima al mucchio di terra sulla spalla del becchino".

Da questo momento molte sono le cose che avvengono, con la inusuale feroce calura di inizio estate si disgrega il super io comunitario: del caldo e di tutte gli eventi negativi che accadono si cerca il capro espiatorio, la fonte delle disgrazie, e non può che essere il "negro" venuto da fuori e che dichiara di essere il Diavolo. Per lui “Diavolo” non è che uno dei tanti nomi dispregiativi con cui lo hanno sempre chiamato e si dichiara tale perché è disposto a tutto pur di essere accettato e ospitato. Sal ha però la grazia di chi è accogliente verso gli altri, di chi, rispetto alle diversità e alle difficoltà altrui, prova empatia e riesce a sciogliere i nodi mentali di alcune delle persone che incontra, persone incastrate nelle loro paure e nelle loro difficoltà di vivere. Elohim, altro personaggio importante (il significato base del suo nome è "dio", "divinità"), fa leva sulle fobie, la viltà e le debolezze delle singole persone del paese in modo tale che diventino una massa indistinta, portatrice di odio che cerca la vittima sacrificale ( tutto ciò rimanda all'attualità e non credo che sia un caso). Le parti si invertono, Sal, colui che porta il nome del Diavolo è colui che salva, è l'angelo perduto che con la sua caduta ha permesso a Dio di esistere essendo il suo opposto, conosce il dolore e lo capisce mentre Dio guarda come spettatore le debolezze e il dramma degli uomini dall'alto della sua potenza; Elohim, che porta il nome della divinità, è colui che fomenta il risentimento degli uomini guidandoli verso l'orrore umano.
Il narratore del libro è Fielding e il suo racconto ha una doppia temporalità, il tempo in cui narra e il tempo di cui narra, nel primo ha più di ottanta anni, nel secondo è adolescente; questa dualità temporale non compromette la scioltezza della narrazione, arricchendola invece dello sguardo maturo di chi in quell'estate del 1984 non era che un ragazzino e ha visto la distruzione della sua famiglia e insieme ad essa quella della sua innocenza,  del suo porsi verso il futuro in modo positivo, ha conosciuto prematuramente "il supplizio di provare speranza solo per capire che non c'è speranza".

E' questo un libro che ci parla e ci fa riflettere su innumerevoli tematiche:la diversità, l'amore, l'amicizia, la famiglia, le eccentricità degli individui, la progressiva distruzione della terra, la fede, la religione, il dolore, la rabbia, l'orrore umano, il razzismo, la superstizione, il senso di colpa, la resa dei conti con se stessi e sopratutto il confine tra il bene e il male. Tutto questo è trattato con una fluidità che ha del magico ed è reso con una prosa che spesso rasenta la poesia.
L'uso che McDaniel fa delle parole e della loro costruzione in frasi è di un efficacia narrativa sorprendente, avvolge e coinvolge il lettore, lo fa scendere nell'animo dei personaggi con intensità emotiva e allarga la visuale dal particolare all'universale.
La potenza evocativa della narrazione dell'oramai ottuagenario Fielding che ricorda quell'estate che sciolse ogni cosa ha la sottile bellezza della malinconia, la forza della consapevolezza di ciò che si è fatto e di ciò che si è omesso, la tragicità di quello che non si può più modificare e di quello che rimane alla fine della vita.

Se volessimo inserire il libro in un genere letterario risulterebbe arduo perché è tante cose: quasi un thriller nella parte finale, un racconto di formazione, un diario a posteriori, un testo immaginifico, un libro distopico ed è sicuramente un romanzo sull'Umanità, sui suoi pregi e i suoi difetti, e sopratutto sulla crudeltà umana.
A esergo di ciascun capitolo c'è un verso del Paradiso perduto di Milton, non so se ciascun verso sia specificatamente attinente al contenuto del capitolo che introduce, ma credo che il loro inserimento sia non solo un  rimando alla caduta dell'angelo ribelle e alla perdita del paradiso in termini generali, ma anche un riferimento specifico al "personale paradiso" del giovane Fielding che, durante quella estate, egli perse definitivamente.

"Si, Breathed era davvero la cicatrice del paradiso perduto, e sotto quella cadenza impastata di burro e farina, il fischio sibilante della città confluiva nel vento, ti induceva al silenzio e a intuire la presenza dei serpenti"













Green Book


La neve cade copiosa e pesante, invade le strade, il Natale è dentro le case, le famiglie sono riunite intorno all'Albero decorato, un angelo bianco mette le ali in paradiso, un angelo nero sfida se stesso e gli altri, le sue ali non lo faranno volare nel cielo ma camminare a testa alta su questa terra.
La vita è meravigliosa, ma è anche il luogo umano dove viene concepito il Green Book una guida di viaggio specifica per afroamericani nel sud degli USA, dove negli anni sessanta ancora erano in vigore, dopo cento anni dalla guerra civile americana, le leggi segregazioniste.

Come spero si intuisca, "La vita è meravigliosa" è il film di Frank Capra del 1946, "Green Book" , del 2018 è di  Peter Farrelly. Ho fatto questo parallelo perché, secondo me, i due film, entrambi commedie, hanno in comune, oltre al genere, anche l'happy end, che nel primo caso è risolutivo, mentre nel secondo lascia comunque aperte tutte le problematiche toccate nella narrazione.

Peter Farrelly, autore insieme al fratello di molte commedie quali "Tutti pazzi per Mary" e "Scemo più scemo", non ha cambiato registro per questo suo film ma lo ha arricchito di una delle tematiche sociali più scottanti e contraddittorie della società americana: il razzismo, che sicuramente Capra era lontano dal porre nelle sue opere, anzi della donna nera che si vede nell'ultima scena del film si dice "anche la negra è venuta".

La storia del film - siamo negli anni '60 -  attinge a fatti e personaggi realmente esisti: Don Shirley, pianista afro americano di musica classica di indiscusso talento, assume Frank Anthony Vallelonga (dettoTony Lip), buttafuori del locale Copacabana temporaneamente chiuso, come autista e guardia del corpo, per essere accompagnato in una tournèe nel sud segregazionista.


Don sa cosa lo aspetta giù nel profondo sud e, come si scopre durante il film, il suo viaggio vuole essere una sfida, un atto di coraggio per affrontare il problema del razzismo che, se pur esistente, negli stati del nord è meno pressante sopratutto per un riconosciuto genio del pianoforte quale lui è. Anche Tony sa cosa li attende, ma lui è avvezzo a trattare la violenza e non si fa scrupolo a rispondere a tono, quando quello è l'unico sistema per togliersi d'impaccio.

Il film gioca sul rovesciamento dei ruoli:  il nero è colto, ricco, elegante ed estremamente formale, il bianco è illetterato, grossolano, sbarca il lunario lavorando per il locale, fa altri lavori sporadici, cercando di rimanere il più possibile fuori dal giro mafioso con cui, inevitabilmente, entra in contatto.

Man mano che la loro strada li porta al sud "l'accoglienza" che viene riservata a Don peggiora sempre di più, gli viene riconosciuta la bravura artistica ma non il suo essere persona, uomo, uomo nero. La buona educazione e il rifiuto della violenza non sembra possano essere coltivate in un mondo in cui è proprio la violenza a regolare i rapporti; il bianco questo lo sa, l'ambiente in cui è cresciuto ne è pieno e solo affrontando fisicamente certe situazioni se ne può uscire. Il principio di autodifesa ha la sua ragione di essere in un mondo ingiusto.
Nel percorso aumentano le difficoltà, ma cresce il rapporto tra i due: entrambi, sollecitati l'un dall'altro, usciranno fuori dalle maschere che si sono costruiti, dai pregiudizi in cui sono incastrati.
Shirley si è creato una corazza di perbenismo accentuato, di educazione esasperata che non ammette concessioni liberatorie, seduto su di un trono- fisico e metaforico- scruta dall'alto l'ignoranza e la goffaggine altrui, senza fare i conti veramente coi problemi che il colore della sua pelle e il suo essere omosessuale comportano; Tony fa i conti con i suoi  pregiudizi razziali, riconoscerà il compagno di viaggio come simile a se', con i suoi punti di forza e le sue debolezze, lo aiuterà, non solo nelle difficoltà pratiche del viaggio, lo scioglierà dagli incastri mentali che si è voluto/ dovuto costruire per avere una vita che rasenti la normalità.
Entrambi acquisiranno consapevolezza di se stessi e degli altri riconoscendosi come uomini al di sotto dell'apparenza che loro stessi, indotti anche dalle situazioni sociali, si sono cuciti addosso.

Il film è luminoso, ricco di colori e di paesaggi che ne arricchiscono la valenza estetica, gli attori sono bravissimi, Viggo Mortersen meritava, anche lui, l'Oscar.











martedì 26 febbraio 2019

"Se la strada potesse parlare" dal libro al film


Se la strada potesse parlare ci racconterebbe quanto la vita degli afro americani è stata, e ancora è, dura, una vita di violenza subita, di costante minaccia di violenza fisica e morale, di intimidazioni.
Quello che la strada vede è la costante precarietà dei corpi neri* che la attraversano,  individuabili subito per l'involucro di pelle scura che li avvolge; in ogni momento possono essere aggrediti in vario modo, con pretesti veri o falsi che diventano vere e proprie costruzioni di una realtà fittizia atta a incastrarli, e questo vuol dire che qualsiasi cosa tu faccia o non faccia, c'è sempre qualcuno disposto a usarla contro di te e a rovinarti o a toglierti la vita. Cosa contengano quei corpi, quale mente, quale anima nella sua accezione più generale,  non ha importanza, lo scopo è distruggere la tua esistenza anche solo instillando una costante paura di esistere come persona. Questo inevitabilmente porta all'annientamento della personalità e alla crescita di una rabbia distruttrice di sé ma anche degli altri.
La contiguità con la paura diventa contiguità con la morte, la maggiore capacità di difesa all'interno di un clan aumenta la potenzialità di violenza, anche all'interno della propria comunità: se la propria singola vita non ha valore anche quella degli altri non ne ha. L'alternativa è l'auto distruzione individuale: smorzare la paura e la rabbia con l'alcool o la droga.

"Anche se la morte prendeva molte forme, anche se la gente moriva presto in molti modi diversi, la morte in sè era molto semplice e anche la causa era semplice: semplice come un'epidemia: si era ragazzi che non valevano un cazzo e tutto quello che vedevano attorno stava lì a confermarlo: Lottavano, lottavano, ma cadevano come mosche e si riunivano al mucchio di immondizia delle loro vite, come mosche." (pag.41)

Stupisce infatti, leggendo il libro di Ryan Gattis, "Giorni di fuoco"** sulla rivolta di Watt LA del '92, non tanto l'estrema violenza, anche gratuita, che in quei giorni sconvolse la città, ma l'indifferenza verso la morte non solo degli altri ma anche propria. L'unica cosa che aveva valore per i giovani componenti delle gang che vi presero parte era l'appartenenza al gruppo, unico luogo sociale dove trovare la propria identità negata; la morte e la sofferenza erano messe in conto, il valore da salvare era la fedeltà alla banda e la vendetta.  Se come dice Toni Morrison "Uno scopo del razzismo è identificare un estraneo così da definire il proprio sé"*** quando si è inseriti nell'estraneità da una buona parte della società, una delle armi che rimane è crearsi altri estranei nei confronti dei quali affermarsi come entità specifica. 

James Baldwin, però, nel suo libro non vuole parlare di rabbia, ma di amore, di relazioni interpersonali autentiche come reazione alle continue ingiustizie perpetrate, enucleando personaggi che ne sono portatori in vario modo.
Un ragazzo, Fonny, e una ragazza, Tish, si conoscono da quando erano piccoli e da allora sono stati sempre insieme, si sono innamorati l'un dell'altra di un amore profondo, sincero, sono carichi di vita e di speranze: fanno progetti per la loro vita insieme, avranno un bambino. Una situazione normalissima se fossero bianchi, ma sono neri. Hanno lavori precari, non soddisfacenti e anche umilianti, la loro condizione è sotto la spada di Damocle degli imprevedibili eventi che il razzismo potrebbe mettere in atto contro di loro. Lui ha una passione, scolpisce il legno e anche la pietra ed è questo, oltre all'amore per Tish, che gli darà una ragione di vita, anche quando verrà incolpato e incarcerato per uno stupro che non ha commesso: un poliziotto bianco, simbolo del peggiore e radicato razzismo americano, costruisce le prove contro di lui.  Intorno ai due giovani ci sono le loro famiglie: unita, comprensiva, amorevole quella di lei, sia nel comportamento dei genitori che della sorella più grande, più conflittuale quella di lui, con un padre attento, carico di umanità e disponibilità, una madre invasata di fanatismo religioso e due sorelle che mancano non solo di autenticità personale, ma anche di identità perché perse in quella terra di nessuno che è il meticciato, non abbastanza bianche, non abbastanza nere.
I due padri, la madre e la sorella di Tish, danno il loro massimo, anche rischiando personalmente, per aiutare Fonny a scagionarsi; una serie di amici, (guarda caso un ebreo, alcuni sudamericani e una italiana) sono solidali con la coppia, anche l'avvocato bianco farà onestamente del suo meglio per tirare fuori Fonny dal carcere. Tish, con il suo bambino in grembo, è protetta dalla sua famiglia con amore e con orgoglio.

Non è la rabbia, nè la violenza a muovere i personaggi ma l'affetto che li lega, il rispetto, pur nella consapevolezza della violenza e della precarietà che minaccia la loro vita, Baldwin oppone all'ordinaria ferocia del razzismo - polizia, sistema giudiziario, "razza" bianca - l'ordinaria storia d'amore tra due ragazzi e la solidarietà di chi li circonda.
E' Tish la voce narrante, all'inizio con uno stile più sincopato ma che poi si distende nel raccontare la sua storia, intercalando il presente con flashback del passato. L'amore contro l'odio, la solidarietà all'interno del gruppo contro la violenza della strada.
Il periodo in cui si svolge sono i primi anni '70, il luogo Harlem.  Il titolo originale è "If Beale Street could talk" e Baldwin scrisse: «Beale Street è una strada di New Orleans****, dove sono nati mio padre, Louis Armstrong e il jazz. Ogni afroamericano nato negli Stati Uniti è nato in Beale Street, è nato nel quartiere nero di qualche città americana, sia esso a Jackson, in Mississippi, o Harlem, a New York. Beale Street è la nostra eredità. Questo romanzo parla dell’impossibilità e della possibilità, della necessità assoluta, per dare espressione a questo lascito. Beale Street è una strada rumorosa. Lascio al lettore il compito di discernere un significato nelle percussioni dei tamburi».
Quindi quella del titolo è la strada, quale essa sia, all'interno dei vari ghetti afro-americani delle varie città d'America, dove si incontrano e si scontrano le contraddizioni sociali, dove ci si esprime con la musica, con la danza, retaggio di quella Congo Square di NO, dove gli schiavi all'inizio del'800, godendo di possibilità escluse in altri luoghi del sud statunitense, si riunivano la domenica per suonare ballare, fare commercio e avere un pò di tempo "libero".